Fascite plantare: la spina calcaneare non sempre è la causa

Molto spesso si tende ad attribuire alla spina calcaneare tutte le cause della fascite plantare. In realtà, nella maggior parte dei casi, la spina calcaneare è solo il falso colpevole.

Cerchiamo di chiarire la genesi e le conseguenze di questi due problemi.

La spina calcaneare

Quando si parla di spina calcaneare, intendiamo un’esostosi plantare, cioè una sporgenza, del calcagno, proprio all’altezza della fascia plantare.

caviglia con fascite plantare
Non necessariamente la presenza di un’esostosi in questa zona è però indice di una patologia. Sono molti infatti i pazienti che presentano questa ossificazione senza avere nessuno tipo di dolore o problema di mobilità.

Spesso, quando si parla di spina calcaneare si parla anche (erroneamente) di morbo di Haglund.

In realtà, questo morbo si manifesta tramite una calcificazione che ha l’aspetto di una spina ma che, al contrario di quest’ultima, è collocata a livello dell’inserzione del tendine di Achille.

Il complesso achilleo-plantare può essere considerato una sola entità funzionale e ciò spiegherebbe la frequente associazione di esostosi retro-achillea (Haglund) alla spina calcaneare.

La fascite plantare

La fascite plantare è un’infiammazione della aponeurosi plantare, ossia di una bada fibrosa molto robusta (assomiglia alla rete dei trapezisti) tesa sotto la volta del piede. Questa rete occupa pressoché tutta la pianta del piede. Si inserisce sul calcagno, attraversa tutta la pianta del piede e si attacca alla base delle falangi delle 5 dita. La aponeurosi plantare si inserisce anche sull’involucro dei brevi e robusti muscoli della pianta del piede. Quando questi muscoli sono ischemici o contratti la aponeurosi (fascia) plantare va incontro a tensioni anomale a contratture persistenti e molto dolorose.

E’ stato notato che lo stretching al polpaccio (se effettuato con costanza e rigore),  può portare alla completa remissione dei sintomi della fascite planatre perché le due strutture sono collegate.

Come si diagnostica una fascite plantare?

Per diagnosticare correttamente la patologia della fascite plantare solitamente, oltre all’esame obbiettivo effettuato dal medico specialista durante la visita, al paziente viene richiesto di sottoporsi ad una radiografia in carico e ad un’ecografia.

Attraverso il colloquio con il paziente possono emergere dettagli più specifici relativi al dolore e all’area interessata dalle difficoltà motorie.

La radiografia in carico, può evidenziare la presenza di calcificazioni utili a correlare la fascite plantare ad un’eventuale alterazione scheletrica.

Infine, l’ecografia o la risonanza magnetica, possono aiutare a completare il quadro della patologia e ad avere informazioni sullo stato di salute del tessuto della fascia plantare.

Come si cura la fascite plantare?

Soluzioni conservative

L’approccio più adatto alla cura della fascite plantare è certamente quello conservativo.

Prima di procedere con qualsiasi terapia invasiva, viene richiesto al paziente di procedere con esercizi di stretching. Questi esercizi, se svolti con quotidianità e costanza, possono portare ad ottimi risultati nel giro di alcuni mesi.

Lo stretching è una terapia che richiede tempo e pazienza: non è possibile ottenere risultati soddisfacenti in pochi giorni.

In associazione a questi esercizi e sempre all’interno di un approccio conservativo, è possibile effettuare anche trattamenti fisici che abbiano l’obiettivo di iper-ossigenare l’area sofferente. Tra questi trattamenti rientra l’onda d’urto che ha il compito non di sciogliere la calcificazione plantare ma di iper-ossigenare la zona colpita dalla patologia.

Anche per questa seconda soluzione, è indispensabile procedere con più cicli per iniziare a notare dei risultati.

Un’altra opportunità terapeutica da valutare è quella dalla Tecar. Si tratta di una terapia nella quale viene stimolata energia direttamente dall’interno del tessuto muscolare per attivare i processi antinfiammatori e riparativi naturali di cui il nostro corpo dispone naturalmente.

Il trattamento con Tecar, nel caso di fascite plantare, coinvolge la zona compresa dal ginocchio in giù.

Per essere produttiva, questa terapia richiede tra le 4 e le 10 sedute.

Per ultimo, indichiamo, tra gli approcci terapeutici possibili, anche la rieducazione propriocettiva (la capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli, senza il supporto della vista).

Medicina rigenerativa e soluzioni terapeutiche biologiche

Un approccio diametralmente diverso, ma che negli ultimi anni ha incontrato un riscontro molto positivo, è quello della medicina rigenerativa.

Consiste nel processo di rimpiazzamento e rigenerazione delle cellule, dei tessuti e degli organi umani per ripristinarne le normali funzioni.

Viene utilizzata soprattutto come terapia per i problemi miotendinei e fasciali, tra cui la fascite plantare.

Le alternative terapeutiche alla medicina rigenerativa sono rappresentate dal PRP e dal Lipogems.

PRP

Il PRP o gel piastrinico è ottenuto da un prelievo venoso. Il sangue viene lavorato attraverso un processo di centrifugazione con dei filtri appositi. Utilizzando filtri diversi si può ottenere PRP con o senza la presenza di linfociti. Esistono poi PRP che possono offrire la possibilità di selezionare e variare la presenza di linfociti, offrendo un PRP “su misura”, calibrato in base alle esigenze del paziente.

Il PRP  trova tuttavia un ampio utilizzo in questo campo terapeutico più come antinfiammatorio e antalgico.

Lipogems

La seconda alternativa alla medicina rigenerativa è indicata nel Lipogems.

Si tratta dell’utilizzo di un deposito naturale di cellule mesenchimali del nostro organismo: il tessuto adiposo. In altre parole, quello che comunemente chiamiamo grasso.

Il tessuto adiposo noto come Lipogems sfrutta il potenziale rigenerativo tipico di questa tipologia di cellule.

Il Lipogems, generalmente, viene estratto dall’addome e viene processato, ossia lavorato, nel giro di pochi minuti.

Il potenziale rigenerativo del Lipogems è molto alto grazie alla presenza di cellule in grado di offrire un effetto paracrino, cioè di stimolare le cellule residenti a differenziarsi e diventare parte attiva nella riparazione.

Le infiltrazioni di cui abbiamo appena parlato prevedono che il paziente assuma subito un carico, che potrebbe portare però ad un lieve dolore e tumefazione locale dopo l’iniezione.

Soluzioni terapeutiche chirurgiche

Se ci troviamo in una situazione in cui gli approcci conservativi e quelli di medicina rigenerativa non apportano risultati soddisfacenti, è possibile pensare anche ad un’opzione chirurgica poco invasiva.

In pratica, tramite un piccolo bisturi si applica un’incisione di modeste dimensioni che ha il compito di allungare la fascia plantare e asportare la spina calcaneare.

E’ un intervento molto breve, eseguibile in anestesia locale e della durata di pochi minuti.

I risultati di questo intervento arrivano dopo circa 30/40 giorni dall’intervento.

Nel caso in cui anche questa opzione non sia soddisfacente, si può associare una procedura di allungamento del tendine d’Achille.

Questa procedura si può eseguire tramite una sezione della fascia tricipitale ed un mini-approccio a livello della giunzione miotendinea del muscolo del tricipite o dietro il ginocchio a livello della regione poplitea.

Contatta il Dott. Scala!

Il Dott. Andrea Scala, ha conseguito il suo diploma di Laurea in Medicina e Chirurgia presso la Università Cattolica del S. Cuore – Policlinico “A. Gemelli” di Roma con la discussione della tesi sperimentale, elaborata presso l’Istituto di Clinica Ortopedica diretta dal Prof. G.F. Fineschi, dal titolo: “Studio delle modificazioni cellulari indotte dai metalli di comune impiego in Chirurgia Ortopedica”, riportando il massimo dei voti.

E’ specialista in Traumatologia e Ortopedia, specialista in Medicina dello Sport.

Dal 1984 al 1988 è stato Assistente del Prof. Pisani nell’Ospedale di Alba (CN), il primo in Italia specializzato nella cura delle patologie della Caviglia e del Piede. Il Dott. Andrea Scala nel  1998 ha impiantato per primo la Protesi di Caviglia a Roma.

Grazie ai numerosi anni di esperienza nel settore, alla formazione continua e alla pratica chirurgica effettuata in prestigiosi Centri Ospedalieri e Universitari italiani ed esteri, il Dott. Scala garantisce ai propri pazienti risultati eccellenti, ottenuti attraverso tecniche chirurgiche innovative, accurati studi sul singolo caso clinico e attuazione di terapie di ultima generazione per agevolare e accelerare la rigenerazione dei tessuti.

I trattamenti per cui è specializzato sono:

  • Protesi caviglia
  • Piede paralitico
  • Malattia di Haglund
  • Alluce valgo
  • Legamenti della caviglia
  • Alluce rigido
  • Piede piatto
  • Neuroma di Morton

Il Dott. Scala è l’unico chirurgo ortopedico specialista italiano iscritto alla Società Francese di Chirurgia della caviglia e del piede. Svolge la propria attività professionale presso la Casa di Cura ARS MEDICA in Via Cesare Ferrero di Cambiano, 2900191 ROMA.

Prenota una visita specialistica al numero +39 335 766 2164 o invia una mail all’indirizzo info@footsurgery.it.