La maggior parte dei pazienti che si presentano in Pronto Soccorso con la frattura di calcagno vengono curati con un gesso. Oppure viene fatto un intervento di infissione di fili metallici che sporgono dalla cute. In molti casi la frattura rimane scomposta e gli esiti della cura rimangono scadenti con delusione dei pazienti.
Come mai non viene operata la frattura di calcagno?
Il primo motivo è che si tratta di un intervento piuttosto complesso che andrebbe affidato a mani esperte. Purtroppo non tutti gli Ospedali sono forniti di specialisti del settore. Il secondo motivo è che in qualche caso a distanza dal trauma il paziente riferisce una scarsa sintomatologia dolorosa e una tollerabile diminuzione della mobilità del piede. Queste esperienze sono rare ma hanno diffuso l’opinione che la frattura del calcagno “non si opera”. Il terzo motivo è che in una percentuale (15% – 20%) dei casi operati rimane un certo dolore e una limitazione articolare del piede. Questo dato ha portato alla credenza che la frattura del calcagno “non si opera” e ha creato un prevalente orientamento contrario all’intervento. La frattura di calcagno è destinata a non essere operata e in Pronto Soccorso si sente dire la famosa frase “il dottore ha detto che lei deve rimanere così”.
Che cosa viene proposto in alternativa all’intervento?
Viene praticato l’intervento con i fili o chiodi metallici. Il paziente viene ricoverato e viene portato in sala operatoria. Il calcagno fratturato viene trafitto da tanti fili metallici di Kirschner che passano attraverso la cute. Viene fatto il tentativo di manipolare i frammenti della frattura e di cercare di mettere a posto la frattura senza vedere ma solo con l’aiuto dell’apparecchio radiologico. Ma la cute è fragile e delicata. I fili metallici vengono lasciati per un mese. Ma alcune volte i germi usano i fili come una passerella per passare comodamente all’interno del piede. I germi che vanno nel calcagno causano una grave infezione dell’osso chiamata osteomielite.
Si vede il pus che esce dal foro della cute dove stavano i fili metallici. Paziente con grave osteomielite del calcagno.
Che cosa stabilisce il manuale di ortopedia e traumatologia?
Il testo di riferimento internazionale è il manuale AO (Gruppo di studio per la osteosintesi) che viene pubblicato in Svizzera e viene continuamente aggiornato. La corretta pratica per il bene del paziente afferma che quando la frattura è articolare e cioè quando la cartilagine dell’articolazione si danneggia insieme con la frattura dell’osso occorre operare. Non ci sono strane “scuole di pensiero”. La cartilagine articolare della sotto-astragalica è coinvolta nell’80% delle fratture. Se la frattura viene lasciata così com’è l’articolazione rimane rotta, la cartilagine rimane danneggiata, interviene l’artrosi con il dolore e il movimento non può più avvenire.
Quale è l’anatomia del calcagno?
Il calcagno è un osso molto resistente. E’ il primo contatto dell’organismo con il suolo. Sostiene tutto il peso del corpo. Non è un osso pieno, come una palla di biliardo (sarebbe troppo pesante). E’ un osso spugnoso, leggero e poroso come la pietra pomice. Ma è avvolto da una corteccia di robusto osso lamellare corticale. Come molte strutture della natura (la noce, l’uovo) resiste fino all’ultimo, ma quando si rompe si scompone in molti frammenti.
Quale è l’articolazione del calcagno?
Tra il calcagno e l’astragalo c’è una articolazione, la sotto-astragalica sulla quale arriva tutto il peso del corpo. La sotto-astragalica è la sede dei movimenti che compie il piede quando affronta terreni irregolari o in pendenza. Inversione e supinazione sono i movimenti verso l’interno. Eversione e pronazione sono i movimenti verso l’esterno.
Che ruolo svolge la radiologia?
La Radiografia non fa capire la gravità della frattura. La gravità della frattura viene sottovalutata.
Sarebbe il caso di fare una TAC?
La radiologia ha compiuto progressi molto importanti con la TAC che consente uno studio accurato della morfologia della frattura. La TAC permette una accurata pianificazione preoperatoria (anziché scoprire sul campo operatorio, in diretta, la morfologia della frattura e comprenderne le caratteristiche). La TAC può anticipare come vanno ricomposti i frammenti della frattura. E’ moto difficile ottenere una buona TAC di solito si vede solo il taglio assiale. Invece è importante anche il taglio sagittale e il taglio coronale. Sarebbero importanti anche le immagini 3 D (tridimensionali).
Quali sono le conseguenze delle fratture articolari del calcagno?
Circa l’80% delle fratture di calcagno riguardano l’articolazione con l’astragalo. La frattura del calcagno in cui avviene la rottura della cartilagine della sottoastragalica comporta una limitazione dei movimenti. Poi, come avviene in tutte le fratture articolari, subentra una artrosi della sottoastragalica che può essere molto dolorosa. Occorre ricordare che la parete laterale del calcagno cede e il malleolo peroneale scende verso il suolo. Lo spazio sottoperoneale disponibile per lo scorrimento dei tendini peroneali si riduce e i tendini vengono “strozzati” dalla frattura. L’intervento libera i tendini dalla compressione della frattura.
Come si cura la frattura di calcagno?
L’orientamento terapeutico di queste fratture internazionale e valido si è indirizzato verso la chirurgia. Dopo aver fatto una adeguata incisione ed una accurata esposizione della frattura, i frammenti vengono ricomposti. La stabilizzazione avviene grazie all’utilizzo di placche dedicate, con viti a stabilità angolari, e a compressione. L’operazione consente la ripresa del carico prima delle 4 settimane.
Quali sono gli obbiettivi dell’intervento di ricostruzione del calcagno fratturato?
Gli obiettivi dell’intervento sono il ripristino della struttura tridimensionale del calcagno, vale a dire il recupero della sua altezza, lunghezza e larghezza; da ciò consegue il recupero della congruità della superficie articolare della sottoastragalica. il riallineamento della tuberosità in una posizione di valgismo fisiologico e la riduzione dell’articolazione calcaneo-cuboidea, tutti requisiti indispensabili per riuscire a minimizzare la gravità dei postumi, comunque inevitabili. Le fratture hanno un notevole costo sociale, dal momento che la fascia di pazienti colpita è quella più attiva, la popolazione maschile in età lavorativa e dedita all’attività sportiva.
Perché è importante operare la frattura scomposta e articolare del calcagno?
La scuola del prof. Giacomo Pisani, mio Primario Ospedaliero per più di 4 anni, ha insegnato che è importante per un principio ortopedico generale rimettere a posto la frattura articolare. Il manuale A. O. della Traumatologia (Arbeitmanshaft fur Osteosynthese) è il più seguito nel mondo e stabilisce senza alcun dubbio che la frattura di calcagno si deve operare per bene.
La frattura del calcagno può guarire se correttamente operata. Vale le pena operare la frattura del calcagno perché quando la riduzione è di buon livello il paziente cammina bene. Anche nei casi in cui dovesse rimanere una sintomatologia dolorosa o una limitazione funzionale e si dovessero rimuovere i residui della cartilagine degenerata e artrosica, la corretta posizione articolare facilita l’intervento di artrodesi.
Che cosa è l’intervento percutaneo?
Non è un intervento vero e proprio. E’ vero che l’ammalato viene ricoverato, si fanno le analisi e viene portato in sala operatoria, ma la frattura non viene visualizzata e rimessa a posto direttamente. La infissione di fili metallici di Kirschner ha lo scopo di manovrare dall’esterno i frammenti della frattura. Si vorrebbe rimettere a posto la articolazione (e anche stabilizzarla) senza vedere. L’aiuto che fornisce l’apparecchio radiologico è minimo.
E’ un intervento che espone il paziente ad alcuni rischi:
– La frattura non viene messa a posto e rimane il dolore e il blocco articolare.
– La cute dei pazienti è molto delicata e può andare incontro a complicanze a livello della ferita. L’infezione può arrivare a livello dell’osso e allora può verificarsi una delle più gravi malattie dell’ortopedia: la osteomielite del calcagno.
Quali sono i casi in cui si può fare l’intervento mini invasivo?
I pazienti anziani ultrasessantenni con problemi clinici importanti (diabete, malattie vascolari e cardiache) e con basse richieste funzionali debbono essere esclusi dal trattamento chirurgico per evitare potenziali complicazioni. In questi pazienti lo scopo è di migliorare la loro prognosi, riducendo il dolore cronico, i problemi con le calzature e le anomalie del passo.
Contatta Il Dott. Scala
Il Dott. Andrea Scala ha conseguito il suo diploma di Laurea in Medicina e Chirurgia presso la Università Cattolica del S. Cuore – Policlinico “A. Gemelli” di Roma con la discussione della tesi sperimentale, elaborata presso l’Istituto di Clinica Ortopedica diretta dal Prof. G.F. Fineschi, dal titolo: “Studio delle modificazioni cellulari indotte dai metalli di comune impiego in Chirurgia Ortopedica”, riportando il massimo dei voti. E’ specialista in Traumatologia e Ortopedia, specialista in Medicina dello Sport. Dal 1984 al 1988 è stato Assistente del Prof. Pisani nell’Ospedale di Alba (CN), il primo in Italia specializzato nella cura delle patologie della Caviglia e del Piede. Il Dott. Andrea Scala nel 1998 ha impiantato per primo la Protesi di Caviglia a Roma. Grazie ai numerosi anni di esperienza nel settore, alla formazione continua e alla pratica chirurgica effettuata in prestigiosi Centri Ospedalieri e Universitari italiani ed esteri, il Dott. Scala garantisce ai propri pazienti risultati eccellenti, ottenuti attraverso tecniche chirurgiche innovative, accurati studi sul singolo caso clinico e attuazione di terapie di ultima generazione per agevolare e accelerare la rigenerazione dei tessuti. I trattamenti per cui è specializzato sono:
Protesi caviglia
Piede paralitico
Malattia di Haglund
Alluce valgo
Legamenti della caviglia
Alluce rigido
Piede piatto
Neuroma di Morton
Il Dott. Scala è l’unico chirurgo ortopedico specialista italiano iscritto alla Società Francese di Chirurgia della caviglia e del piede. Svolge la propria attività professionale presso la Casa di Cura ARS MEDICA in Via Cesare Ferrero di Cambiano, 2900191 ROMA. Prenota una visita specialistica al numero +39 335 766 2164 o invia una mail all’indirizzo info@footsurgery.it.
Buona sera , sono stato operato 2 mesi fa x una frattura al calcagno scomposta, mi è stata messa una placca, poi x ovvie ragioni questa placca ai 2 mesi e mezzo al 99% deve essere rimossa, premetto che il primario che mi ha operato è molto competente in fratture del calcagno, bene vorrei sapere cosa comporta questa rimozione a livello di camminata e dolore, Grazie
Gentile signora se lei sta bene e cammina bene non c’è alcun motivo di togliere la placca e le viti. Placca e viti non si tolgono mai se va tutto bene. Cordiali saluti.
Buongiorno dottore, ho 44 aa e nel mese di ottobre u.s. sono caduta dall’altezza di 1,80 mt ca ed ho riportato frattura multiframmentaria di calcagno sin. Sono stata trattata con fissatore esterno e fili di K. per circa 4 mesi. Ora sto facendo fisioterapia dal 17 febbraio ma non ho ancora ripreso la funzionalità completa della caviglia. Secondo Lei recupererò o avrò limitazioni perenni? Grazie per la disponibilità.